A Hong Kong, da domani, non sarà più obbligatorio portare la mascherina. Giusto 3 anni fa, in questi giorni, il mondo veniva travolta dal più imprevedibile dei cigni neri, in grado di mettere a rischio equilibri economici e sociali ben più di molte guerre. L’invasione dell’Ucraina e l’avvento dell’inflazione, con gli “annessi e connessi” che ben conosciamo, hanno “spostato il tiro”, distogliendo l’attenzione dalla pandemia prima ancora che fosse “derubricata” a poco più che una forma influenzale (anche se, ancora oggi, nel nostro Paese, si redigono statistiche settimanali sul numero dei morti e dei ricoverati ospedalieri). Il provvedimento adottato dalle autorità dell’ex Governatorato Britannico ci ricorda che se in occidente la pandemia è da tempo percepita come un problema superato, in Asia solo ora si comincia a ritenerla non più in grado di provocare nuove situazioni di crisi, come confermato dalle aperture avvenute in Cina poche settimane fa, in concomitanza con il Capodanno cinese, che ha visto centinaia di milioni di cittadini spostarsi nel “subcontinente” asiatico.
L’abolizione delle restrizioni in quello che, ancora per poco, visto l’avanzare dell’India, è il più popoloso Paese al mondo, è uno dei motivi per cui si ritiene che l’economia cinese quest’anno possa riprendere ritmi di crescita che, se non uguali a quelli che l’hanno contraddistinta negli anni 90 e nei primi anni 2000, quando viaggia ad una media del 10% annuo, senza dubbio saranno ben superiori alle percentuali “striminzite” (per i loro standard) degli ultimi anni. E se l’economia cinese “funziona”, il segnale non può che essere positivo per l’economia globale, visto che si regge, in buona parte, sull’export verso le economie più sviluppate.
Questa, a ben vedere, è un po’ la scommessa che i mercati stanno facendo: “buttare la palla” oltre l’ostacolo in molti casi aiuta ad andare oltre, non limitando lo sguardo al presente, indubbiamente ancora pieno di incognite. Lo dimostra l’atteggiamento delle Banche Centrali, sempre più orientate a politiche aggressive sino a quando l’inflazione non sarà scesa a “miti consigli”.
Ormai il cosi detto pivot, il picco più alto a cui dovrebbe arrivare il costo del denaro, negli USA è visto al 5,4%, livello a cui dovrebbe arrivare il prossimo settembre (fino a pochi giorni fa era al 5,10%). Una dinamica appare ancor più chiaro osservando l’andamento del tasso del treasury a 2 anni: ieri è arrivato a toccare il 4,8%, massimo da moltissimi anni a questa parte (l’ultima volta era il 2007), mentre il decennale, per quanto alto, è al 3,92%. Un’evidenza che conferma una volta di più come il mercato veda, nel breve, tassi in crescita e una recessione incombente, fatto questo che dovrebbe portare nuovamente ad una politica monetaria più espansiva.
A prevalere, ancora una volta, è la logica del “tanto peggio tanto meglio”: ieri, per esempio, sono stati pubblicati i dati sugli ordini dei beni durevoli americani, in diminuzione, a gennaio, del 4,5% rispetto al + 5,1% di dicembre. I mercati hanno prontamente reagito, facendo segnare andamenti ovunque positivi, anche se le chiusure sono state inferiori ai massimi di giornata. All’opposto di quanto successo venerdì scorso, quando i dati sull’inflazione statunitense, nuovamente in crescita mese su mese (con l’indice delle spese dei consumatori – Pce – tenuto in gran conto dalla FED, cresciuto al 5,4% a gennaio rispetto al 5% di dicembre), avevano depresso i listini.
Va anche detto che “più si alza l’asticella” più è probabile che, in caso di scostamenti positivi rispetto alle previsioni (e quindi interventi meno forti delle Banche Centrali), i mercati abbiano reazioni positive, vivendo di prospettive: il futuro, almeno quello prossimo, in altre parole, ha una valenza ben maggiore del presente. Che è quello che spinge oggi buona parte degli investitori e delle Banche d’affari a vedere il “bicchiere mezzo pieno” e a far prevalere il “sentiment” positivo, anche se, ancora per qualche mese, le decisioni di chi governa la politica monetaria sembrano indicare momenti non facili.
In Asia la giornata si è aperta con Tokyo intorno alla parità (Nikkei + 0,10%), mentre Shanghai al momento sale di circa lo 0,7%.
Debole invece Hong Kong, con l’Hang Seng in calo dello 0,50%.
Da segnalare, sul listino coreano, il rialzo di L&F, società che produce materiale per le batterie elettriche, che ha comunicato di aver siglato un contratto con Tesla del valore di $ 3MD. Notizia che, molto probabilmente, va ben oltre il puro significato contrattuale tra le parti.
I futures al momento sono appena sotto la pari, con cali frazionali ovunque.
Sul fronte delle materie prime, tiene il petrolio, con il WTI a $ 76,35 (+ 0,79%).
Leggero ritracciamento per il gas naturale Usa, a $ 2,728, – 0,29%.
Continua la fase laterale dell’oro, a $ 1.820,40 (- 0,34%).
Spread sempre in area 180 bp (184,4), con il decennale al 4,40%.
Bund al 2,55%.
Treasury al 3,92%.
Leggero recupero per l’€, con il $ a 1,0587.
Bitcoin sempre intorno a $ 23.400 (23.389).
Ps: che il Covid abbia modificato abitudini di vita è evidente a tutti. Peraltro, non ha fatto che accelerare un processo già in atto. Il caso forse più eclatante riguarda gli acquisti on line. Nel nostro Paese nel 2015 erano pari ad € 16,6 MD; nel 2022 hanno raggiunto un controvalore pari ad € 48,1 MD, dato ancora in crescita. Come in tutte le cose, c’è “l’altra faccia delle medaglia”: si calcola che negli ultimi 10 anni sono scomparsi almeno 100.000 attività commerciali, con una “densità commerciale” passata da 9 a 7,3 negozi ogni 1.000 abitanti. Con un altro fattore importante; quelli gestiti da italiani sono diminuiti di 138.000 unità, con 148.000 occupati in meno., Quelli gestiti da stranieri sono aumentati di 44.000 unità, con 107.000 occupati in più.